LA ROTTA DI ULISSE

 


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Pietro Maso, il più bello del reame

Capita che il minore sia il più coccolato in famiglia, soprattutto se è l’unico maschio. Prima di Pietro, nato a Montecchia di Crosara, in provincia di Verona, il 16 luglio 1971 alle 14.00, i Maso, Antonio, 52 anni e la moglie Maria Rosa Tessari, 48, hanno avuto due figlie. Montecchia è un borgo di circa quattromila abitanti, che hanno costruito il loro benessere sull’attività agricola, famose le ciliege e il vino Soave, e sulle piccole imprese a conduzione familiare. Papà Maso si è spaccata la schiena nei campi per costruire la villetta dove crescerà il rampollo destinato a balzare agli onori della cronaca non per meriti speciali ma perché autore, insieme agli amici Giorgio Carbognin, Paolo Cavazza e Damiano Burato, di un odioso crimine: l’uccisione dei suoi genitori, avvenuta nella loro casa la notte del 17 aprile 1991.
Ma chi è davvero, al momento del crimine, questo ragazzo ventenne dai lineamenti regolari e con un’aria spavalda, che veste firmato, guida auto di lusso, ha in testa una sola cosa, avere a disposizione tanti soldi senza fare troppa fatica?
Terminate le medie Pietro si iscrive all’Istituto Agrario Professionale di Cologna Veneta, che frequenta con profitto per tre anni. Inizia poi a lavorare, cambiando spesso impiego, e non dimostra una grande voglia di faticare.
La sua vera vita è quella che inizia dopo il tramonto, nel bar John di Montecchia, luogo di ritrovo di tutti quelli che “contano in quel piccolo mondo di provincia, cresciuto forse troppo in fretta e male a causa dei tanti soldi che vi circolano. Nel bar John non ci solo giovani come Pietro, ma anche adulti facoltosi, gente che spende nelle bische, nei night, con le prostitute. Proprio da loro arriva un messaggio indiretto – viva il denaro facile – che è all’opposto di quello dei genitori Maso: i soldi vanno guadagnati con il sudore della fronte. Facile capire da che parte si metta il giovane Pietro, che gode, oltretutto, di uno status privilegiato agli occhi dei coetanei. È infatti lui l’arbiter elegantiarum, quello che indossa capi firmati o modelli esclusivi da lui inventati, con mamma Rosa come sarta, tra cui una giacca rossa doppiopetto con due file di bottoni, che riscuote grande successo con le ragazze. Quando Maso va in discoteca con i suoi fedelissimi, prima di tutto Giorgio Carbognin, «il successo si conferma ogni volta e l’affermazione sociale di Pietro si estende. La discoteca diventa il luogo dove la conquista delle donne tocca livelli elevatissimi: non solo è noto a tutte, ma spesso viene circondato da vere e proprie fan che fanno a gara per conoscerlo» (Vittorino Andreoli, Delitti, Rizzoli 2001, pag. 33).
È ai tavoli del gioco clandestino che il ragazzo comincia a guadagnare grosse cifre, assistito, come racconterà lui stesso, da una buona dose di fortuna, la stessa che gli evita tante volte di avere un incidente quando esegue pericolosi sorpassi a bordo della sua auto. Cresce, di conseguenza, il suo tenore di vita, e ovviamente si licenzia dal supermercato di Montecchia dove lavora. Bisogna premettere che i genitori di Pietro non gli hanno mai fatto mancare nulla, ma loro sono persone semplici, di costumi religiosi. Seguire perciò il figlio in questo suo delirio di grandezza è davvero impossibile. Ecco lo stralcio di una delle interviste fatte a Pietro Maso in carcere dallo psichiatra Vittorino Andreoli, che ha seguito il suo caso come quello di altri famosi killer italiani: «Nel mese di novembre 1990 mi è venuto in mente di condurre una vita brillante e quindi mi servivano molti soldi, al che per avere questo denaro l’unica soluzione possibile era quella di ottenere subito l’eredità che mi spettava dai genitori nel caso fossero morti, e mi sarebbe anche piaciuto di averla intera. Con questo intento ero costretto a uccidere anche le mie sorelle.» (op. cit. pag. 21).
A dire il vero prima dei delitti veri e propri. di tentativi per fare fuori i suoi ce ne furono due. Il primo consisteva nell’esplosione di due bombole di gas sistemate nella taverna della villetta, grazie a uno speciale marchingegno messo a punto da Pietro. Sfumato il primo, si passò a un piano di riserva. La madre sarebbe stata uccisa durante un tragitto in macchina, seduta alla destra del figlio che guidava, mentre Giorgio Carbognin, seduto dietro, avrebbe dovuto sferrarle una botta in testa con un aggeggio usato nelle macellerie per battere la carne. Il turno del padre sarebbe arrivato poco dopo, in casa, dopo averlo attirato con un pretesto nel garage. Quindi Maso e l’amico avrebbero caricato i cadaveri in auto, l’avrebbero portata sull’orlo di un burrone, le avrebbero dato fuoco e infine fatta precipitare. Il piano fallisce, ma la volontà di fare fuori i genitori si rafforza. Quel patrimonio familiare , valutato un miliardo e quattrocento milioni, fa troppo gola. Certo, Maso dovrà dividere la somma con gli amici che hanno accettato di dargli una mano, ma anche così resterebbe una cifra di tutto rispetto. C’è una macchina che lui sogna da tempo: una BMW 2000 bianca con gli interni dello stesso colore e i sedili in pelle . Costo 47 milioni.
E si arriva alla notte della tragedia, alle ore 23 di quel 17 aprile 1991 che resterà impresso a lettere di fuoco nel dossier della criminalità made in Italy. Pietro Maso, Giorgio Carbognin, Paolo Cavazza e Damiano Burato, che all’epoca del fatto di sangue ha solo 17 anni, indossano le tute e le maschere di carnevale - Pietro è l’unico a rifiutarla - e si appostano nella casa buia, in cima alle scale, in attesa che Antonio e Rosa Maso tornino dalla riunione dei neocatecumenali, il gruppo di preghiera che frequentano.
Il primo colpo, inferto con una sbarra di ferro, lo riceve papà Antonio, ed è di suo figlio che ha il viso scoperto. L’uomo cade a terra, ma non è morto. Pietro colpisce ancora, e colpisce anche Burato, che ha in mano una padella. C’è un grande trambusto e la signora Rosa, salendo di corsa le scale, chiede affannata al marito, che si lamenta debolmente, che cosa stia succedendo. Viene colpita da un bloccasterzo, crolla a terra, chiedendo aiuto, mentre si protegge la testa in un estremo tentativo di difesa. «Un secondo colpo le ferisce il braccio, poi ancora la testa. Esce sangue. La donna urla disperata. “Pietro, è ancora viva” grida uno della coppia Carbognin-Cavazza. Maso, senza indecisione, arriva con la spranga metallica e le dà un colpo che le fa perdere coscienza» (op. cit. pag. 59). Ma quei due non si decidono proprio a morire: i carnefici continuano a infierire sui poveri corpi martoriati fino a che, nella casa dell’orrore, calerà il silenzio rotto solo dal rumore della pioggia che scroscia fuori.
Maso e complici decidono di simulare un furto. Dopo il duplice omicidio i giovani assassini salgono in macchina e si dirigono verso la discoteca. dove però non potranno entrare perché quella sera è riservata per una festa. Dopo avere girovagato fino a notte tarda fanno ritorno nelle rispettive abitazioni. Lasciati gli amici, Pietro Maso entra nella villetta del massacro e dopo avere aspettato qualche minuto corre da un vicino a dare l’allarme, fingendo di avere scoperto i corpi senza vita dei genitori al ritorno dal giro in città. La sua mancanza di qualsiasi reazione emotiva insospettisce fin dal primo momento i carabinieri subito accorsi in casa Maso. Poco prima del suo arresto, a un cronista che lo ferma in strada per intervistarlo, l’assassino dichiara con il viso impassibile: «Sì, quando sono tornato ho visto le gambe che uscivano e allora sono corso a chiedere aiuto». Alla domanda del giornalista, che gli chiede «ma allora è vero che è stata una mattanza, una cosa terribile?», risponde con un asciutto “boh”.
Il film ideato da Maso prevedeva un grande finale: l’inizio di una vita beata a base di auto nuove, belle ragazze e serate in discoteca. Ovviamente non è andata così. Maso confessa tutto agli inquirenti poche ore dopo la cinica dichiarazione sopra riportata e finisce in carcere. Dove succede qualcosa che gratificherà al massimo il suo ego narcisista: una valanga di lettere scritte da adolescenti che vedono nel giovane assassino un eroe, fan club intitolati a lui, canzoni che parlano delle sue “gesta”. Riconosciuto non infermo di mente, Pietro Maso viene condannato, con sentenza poi confermata dalla Cassazione, a 30 anni di reclusione. Ventisei anni invece per Carbognin e Cavazza (Burato era minorenne all’epoca dei tragici fatti di Montecchia).
Nel 2008 Maso ha ottenuto il regime di semi-libertà, che gli consente di uscire dal carcere durante il giorno per recarsi al lavoro, il primo passo verso una totale libertà.

giuliana.giani@fastwebnet.it


 

Il Cancro è ritenuto un segno dolce, sensibile, estraneo alla violenza. Eppure tra i suoi rappresentanti si annoverano anche vari killer celebri, come Rina Fort, Donato Bilancia, Gerald Gallego e molti altri, fatto che sembra avvalorare una frase di Oscar Wilde: «Ognuno uccide ciò che ama». Per un nativo del Cancro l’oggetto d’amore per eccellenza è di regola la famiglia. Non deve quindi stupire che quando decide di dare la morte lo faccia spesso proprio nell’ambito familiare. Là dove c’è amore c’è sempre anche il suo opposto, l’odio, e se quest’ultimo riesce ad avere la meglio, la mano che accarezza si trasforma nella mano che impugna un coltello o una pistola, il marito mansueto o la moglie servizievole diventa il carnefice del partner, dei genitori, talvolta di fratelli, figli o parenti vari.
Nella tragica vicenda che ha visto Pietro Maso uccidere il padre e la madre, sembra che l’amore/odio nei loro confronti c’entri poco o nulla, per sua stessa ammissione. «Maso descrive i suoi genitori in modo positivo (non l’hanno mai picchiato, non gli facevano mancare niente), ma ne parla sempre in modo disaffettivo, come a testimoniare anche in questo caso il fatto che semplicemente li utilizzasse» (op. cit. pag. 40). Sono invece i soldi che hanno avuto un ruolo determinante, anzi ossessivo: quei soldi che gli avrebbero consentito di spendere e spandere senza problemi. Perché Maso, oltre a essere un narcisista molto compiaciuto della propria immagine, come suggeriscono il suo segno natale e l’ascendente in Bilancia, amava le cose belle e costose (Luna in Toro).
Tornando ai genitori di Pietro, c’è da rilevare che poiché il figlio confessò quasi subito di averli ammazzati, senza comunque muovere loro accuse di qualsiasi tipo, nessuno ritenne che fosse il caso di analizzare il tipo di rapporto profondo intercorso tra l’assassino e le sue vittime. Così, ancora una volta, tocca all’astrologo tentare di fornire il quadro rivelatore di quest’ultimo.
Sulla figura del padre Antonio, nulla da eccepire.
Nella carta del cielo di Pietro Maso un Sole in nona casa e in Cancro, che riceve solo aspetti positivi da Plutone, Giove e Nettuno, indica che l’immagine paterna – e di conseguenza anche quella che il soggetto ha della propria identità virile – era ben salda, anzi, trionfante. Pietro ha vissuto il genitore come un vincente, come un uomo capace di fare soldi e generoso nei confronti del figlio, al quale ha saputo garantire, oltre alla sicurezza affettiva, anche quella economica. Però al tempo stesso forse un po’ troppo buono e quindi non in grado di incutere nell’erede un barlume di soggezione nei suoi confronti e nemmeno capace di trasmettere regole morali.
Compito che invece forse spettò a Rosa, la madre, con cui più Pietro ebbe quasi certamente un rapporto molto più complesso.
La Luna di Maso – che in un tema di nascita simboleggia appunto la figura materna – è nel segno del Toro, congiunta a Saturno e in trigono a Plutone. Questi soli dati farebbero pensare a una mamma con un forte senso del dovere e severa con il figlio, però anche capace di certe complicità con lui, come quando lo asseconda nella sua mania di vestire sempre all’ultima moda. Ma purtroppo c’è dell’altro. Questa stessa Luna riceve infatti anche quadrati da Mercurio e da Marte, e pesantissime opposizioni da Giove e da Nettuno. Passando dal linguaggio astrologico a quello comune, si può allora affermare che Pietro ha un’immagine tutt’altro che tranquilla della madre. La signora Maso, agli occhi del figlio, appare sì dotata delle virtù elencate prima, ma è anche quella che tira i cordoni della borsa se lui esagera, quella che, se pure buona e paziente, fa saltare ogni tanto i nervi al ragazzo, magari perché gli ricorda che non si vive di sole discoteche e macchine veloci, e che prima di spendere i soldi bisogna guadagnarseli.
L’uomo del Cancro è spesso un grande pigro (nei casi estremi uno scansafatiche cronico) che, se potesse, non lavorerebbe un solo giorno in vita sua. E’ vero che quando è costretto a rimboccarsi le maniche per portare a casa la pagnotta lo fa con grande efficienza ,ma appena può scarica sugli altri ogni fatica superflua.
Se c’è poi la possibilità di farsi mantenere, tanto meglio. Un esempio illustre? Lo scrittore francese Jean-Jacques Rousseau, nato il 28 giugno 1712, che fu a carico, per molti anni, della sua benefattrice madame de Warens. E che, per inciso, lasciò che i cinque figli avuti da Thérèse Levasseur, una donna del popolo, finissero al brefotrofio. Salvo poi occuparsi di pedagogia, scrivendo trattati su come educare i fanciulli…
Inoltre il Cancro uomo, pur di non accollarsi oneri gravosi, è capace di accontentarsi di quello che passa il convento. Ma questo non poteva accadere al giovane Maso: per via di Giove e Nettuno in seconda casa, opposti a Saturno in ottava, lui era ossessionato dall’idea dei soldi e di un’eventuale eredità. Spesso queste configurazioni planetarie si trovano nel tema natale di persone che bramano di ereditare da questo o da quel parente ma che poi, per un motivo o per l’altro, vedono sfumare il loro sogno. Proprio com’è accaduto a Maso, ansioso di scassinare la cassaforte di famiglia, cosa che non gli riuscì. Altro particolare interessante: il suo Marte in Aquario e nella quarta casa sembra volere dire: «Attenti genitori e famiglia intera, perché se mi rompete le scatole io vi distruggo». Per pura cattiveria? No, potremmo dire piuttosto per scarso senso morale, per immaturità emotiva e superficialità adolescenziale. L’opinione pubblica si scandalizzò profondamente quando i giornali scrissero che, durante il processo, Pietro aveva chiesto a una guardia carceraria di procurargli una certa marca di autoabbronzante. Ma perché stupirsi? Il processo era un’occasione per salire alla ribalta e lui, abituato a essere ammirato al bar o in discoteca, ci teneva ad apparire con un look impeccabile anche in un’aula di tribunale.
Un altro aspetto da sottolineare, nell’analisi del tema natale di Maso, è l’eccezionale capacità di manipolare gli amici, grazie a un fortissimo Plutone in Vergine in undicesima casa, che fornisce un grande carisma e nei confronti del “gruppo”, carisma che gli consentì di coinvolgere gli amici nei suoi progetti criminali. Molto significativo anche il suo Mercurio in Leone in decima casa, in aspetto negativo rispetto alla Luna e a Marte, che parla di un’adolescenza spavalda, strafottente e megalomane, in cui la famiglia viene vista come una zavorra.
Il giorno in cui Pietro ha ucciso i genitori, il suo Urano di nascita in Bilancia era sotto il tiro incrociato di tre transiti durissimi: Marte in Cancro e Urano e Nettuno in Capricorno. Il soggetto in questione aveva insomma fretta di agire, senza calcolare le conseguenze del suo gesto, e nel modo più spietato. Basti ricordare che per uccidere i signori Maso, il branco inferse loro un nutrito numero di colpi, prima che i poveretti esalassero l’ultimo respiro. E a mattanza compiuta i quattro amici «salgono in macchina e si dirigono verso la discoteca. L’atmosfera durante il viaggio è mutevole: silenzi, qualche battuta spiritosa, momenti di allegria. Immaginano il ‘casino di domani’, i giornali e le televisioni» (op. cit. pag. 61). Gli assassini non si rendono conto, insomma, di avere agito con una “ingenuità” sconcertante, con la convinzione demenziale di riuscire a farla franca. Ma non può essere diversamente, soprattutto per Maso, il piccolo ras il cui orizzonte non spazia oltre alla discoteca, le boutique e gli autosaloni di lusso.

La sentenza del Tribunale astrologico
Il Pietro Maso che ha massacrato suo padre e sua madre era sostanzialmente quello che appariva: un ragazzo viziato e anaffettivo. Non c’è molto altro dietro la facciata, inutile scavare in profondità. Certamente, in questo caso, si potrebbero forse trovare gli errori di due genitori troppo accondiscendenti che non hanno saputo dire qualche indispensabile no a un figlio amato all’eccesso. Tornando all’imputato, va detto questo: lo specchio di Narciso/Maso ha escluso tutto quello che appariva al di fuori della sua cornice. Terribile e pericoloso poi un Narciso che vuole diventare anche Creso. Concentrandosi unicamente sui desideri del presente, quelli di un adolescente viziato e megalomane, con poco sale in zucca, Pietro Maso si è rovinato l’esistenza macchiandosi le mani con il sangue di chi gli aveva donato la vita. Nel suo tema di nascita Luna e Venere, i pianeti signori del Cancro, fortemente lesi, oltre a togliergli le caratteristiche migliori del segno, non gli hanno fatto capire che ai bambini capricciosi non viene perdonato tutto, men che meno l’uccisione dei genitori. La sua giovane età al momento degli omicidi può rappresentare un’attenuante ma nulla toglie alla gravità del fatto.
Pietro Maso sta scontando attualmente la sua pena nel carcere di Opera, alle porte di Milano. L’ex ragazzo dal ciuffo spavaldo è ora un trentacinquenne che dipinge, scrive poesie, si occupa della palestra del carcere e mostra di volere riscattare la propria immagine agli occhi del mondo e soprattutto, a quelli degli abitanti di Montecchia di Crosara. Perché il paese non ha dimenticato.

massimomichelini1@virgilio.it

Questo articolo è apparso una prima volta su M-Rivista del mistero nel marzo 2008



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